LA CORRETTA GESTIONE DEI RIFIUTI CONTENENTI AMIANTO: INTERVISTA AL RESPONSABILE MARIO GAGLIANO

Per diversi anni il rischio di esposizione alle fibre di amianto è stato associato solo ai lavoratori del settore; solo a partire dagli anni Ottanta l’attenzione si è spostata sulle esposizioni non professionali e sulla possibilità di considerare l’amianto un contaminante ambientale. Ma quali sono i rischi associati all’esposizione da amianto e quali sono le caratteristiche che ci consentono di individuare un possibile manufatto contaminato? Ne parliamo con il nostro responsabile del settore amianto Mario Gagliano.

  • Partiamo dal suo ruolo in Gruppo Porcarelli.

Lavoro in Gruppo Porcarelli da dodici anni e sono il responsabile del settore amianto della Logistica Ambientale, società di servizi del gruppo. Con l’impiego di una squadra riusciamo a gestire circa 250 cantieri all’anno. Ci occupiamo prevalentemente della rimozione di:

  • Lastre e pannelli di copertura;
  • Tamponature perimetrali;
  • Cassoni, vasi d’espansione e serbatoi idrici;
  • Canne fumarie, colonne di esalazione e di aerazione, sfiatatoi e terminali;
  • Tubazioni, colonne di scarico e discendenti.
  • Cos’è l’amianto e quali sono i campanelli di allarme che permettono l’individuazione di questo materiale?

L’amianto è una fibra minerale presente in natura ed è stata ampiamente utilizzata in Italia. Nato nel 1901 dall’austriaco Ludwig Hatschek che brevetta il cemento-amianto, venne denominato eternit, con riferimento al latino aeternitas, «eternità», per rimarcarne la sua elevata resistenza. Essendo un materiale fibroso, flessibile, fonoassorbente, resistente al fuoco e dal basso costo, l’amianto, per le sue caratteristiche performanti, veniva usato per realizzare migliaia di prodotti di uso industriale e civile, soprattutto nell’ambito edilizio. Infatti, anche se negli anni Sessanta ricerche condotte mostrarono che la polvere di amianto provocasse asbestosi ed il mesotelioma pleurico, le fabbriche continuarono a produrre manufatti sino al 1986, con drammatiche conseguenze per la salute degli operai.

La caratteristica più pericolosa di questo materiale è da ricercare nei minerali di amianto, che hanno la caratteristica di sfaldarsi e ridursi in fibre molto sottili con la conseguente possibilità di essere inalate causando, così, gravi patologie ai soggetti interessati. Per questo motivo con la Legge 257/1992 è stato introdotto il divieto prima alla produzione e poi all’utilizzo dell’amianto.

I minerali interessati dalle limitazioni di cui sopra sono le varietà fibrose del:

  • Crisotilo (tipo del Serpentino – amianto bianco – CAS 12001-29-5);
  • Amosite (Anfibolo – amianto bruno – CAS 12172-73-5);
  • Crocidolite (Anfibolo – amianto blu – CAS 12001-28-4);
  • Tremolite (Anfibolo – CAS 14567-73-8);
  • Antofillite (Anfibolo – CAS 77536-67-5);
  • Actinolite (Anfibolo – CAS 12172-67-7).

Il crisotilo è la tipologia maggiormente utilizzata ma, in generale, sono le prime tre tipologie quelle più diffuse e ancora impiegate in diverse regioni del mondo.

Per l’individuazione visiva dell’amianto consiglio di rivolgersi ad esperti del settore che, tramite campionamento del manufatto e analisi chimiche, riescono a dare un riscontro puntuale del materiale prelevato. Tuttavia, ci sono alcune caratteristiche che possono far scattare un campanello di allarme:

1.Anno di produzione.

Se l’anno di produzione di tettoie, canne fumarie e serbatoi idrici è anteriore al 1992, c’è una elevata possibilità che ci sia la presenza di amianto.

2. Mancanza di marchio “ecologico”.

Dopo il 1992 la realizzazione dei manufatti è stata effettuata con il fibrocemento ecologico, un materiale non nocivo, riconoscibile tramite marchio.

3. Lesioni significative.

Per le canne fumarie, ad esempio, si nota che le estremità sono gravemente danneggiate dall’eccessivo calore.

4. Marchi di fabbriche produttrici di amianto.

Tra le aziende più conosciute nella produzione di manufatti ed estrazione di amianto riportiamo: Eternit, Fibronit, Eternit Siciliana, Amiantifera e Stabilimento di Balangero, Stabilimento di Casal Monferrato (il più grande in Italia), Stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia), Cavagnolo (Torino), Broni (Pavia) e Bari.

  • La messa al bando dell’amianto in Italia, con la legge 257/1992 che ha citato, ha determinato una proliferazione di norme che hanno regolato nel tempo vari aspetti quali le modalità per la gestione dei materiali. Ce ne può parlare?

Nonostante siano trascorsi trent’anni dalla messa al bando dell’amianto, i quantitativi di materiali contenenti amianto (MCA) presenti sul territorio italiano si aggirano intorno ai 32 milioni di tonnellate (dati CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche), gran parte dei quali sono rappresentati dai 2,5 miliardi di metri quadri di coperture, lastre ondulate o piane, in amianto.

Proprio per questo, negli anni, diverse norme hanno regolato l’operato dei vari attori presenti in questo settore. Le norme sulla prevenzione e protezione dei rischi da amianto sono contenuti nel Titolo IX del D.lgs. 81/2008, al Capo III, che si applica a tutte le attività lavorative che oggi comportano esposizione, quali la bonifica, manutenzione, rimozione dell’amianto o dei materiali che lo contengono, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti.

Le norme di prevenzione riguardano tutti i campi di possibile esposizione e, tra l’altro, comprendono obblighi relativi a:

  • modalità per la rimozione;
  • manutenzione dei materiali;
  • sorveglianza sanitaria;
  • smaltimento dei rifiuti;
  • formazione e informazione di lavoratori e potenziali esposti;
  • metodi di indagine e analisi oltre che bonifiche dei siti inquinati.

Grazie alla mia squadra di operatori qualificati effettuiamo la rimozione dell’amianto tramite:

  • Valutazione degli ambienti e dello stato di conservazione dei materiali in amianto oggetto di bonifica;
  • Valutazione aria-ambiente dell’eventuale presenza di fibre asbestiformi nei luoghi di bonifica;
  • Rilievi fotografici delle strutture da bonificare;
  • Campionamento ed analisi dei manufatti presso laboratori accreditati;
  • Compilazione scheda di valutazione riepilogativa;
  • Presentazione del Piano di Lavoro all’Organismo di Vigilanza territorialmente competente;
  • Corrispondenza con l’Organismo di Vigilanza per eventuali integrazioni o chiarimenti;
  • Predisposizione area di cantiere;
  • Incapsulamento, rimozione e stoccaggio temporaneo dell’amianto bonificato;
  • Trasporto e conferimento presso impianti autorizzati;
  • Trasmissione documentazione attestante l’avvenuta bonifica.
  • Quali sono le procedure per la valutazione del rischio associato all’esposizione da amianto?

Le patologie correlate all’amianto sono determinate dall’inalazione delle fibre con un insorgere della malattia anche dopo 30 anni dall’esposizione. Valutare i rischi, infatti, significa verificare la probabilità che queste vengano rilasciate dai materiali e successivamente inalate.

Nella valutazione del rischio per l’amianto occorre, quindi, tenere in considerazione la natura dei materiali. Ad esempio, se il manufatto risulta più friabile e deteriorato c’è una maggiore possibilità che questo possa rilasciare fibre nell’aria; se, invece, il manufatto in questione è integro non è detto che questo non possa logorarsi nel tempo anche a causa di agenti atmosferici, causando il conseguente rilascio delle fibre.

Uno dei modi più efficaci di valutare il rischio è quello di effettuare delle indagini che permettono di stabilire la concentrazione delle fibre disperse in aria. I valori di concentrazione si esprimono appunto in fibre per litro (ff/l) o fibre per centimetro cubo (ff/cc).

Come riportato dall’INAIL, per avere un’idea delle concentrazioni di riferimento si consideri che al di sotto di una tettoia in cemento amianto ci si aspetta valori inferiori a 1 ff/l, valore che può salire a qualche decina di ff/l durante una bonifica di amianto compatto fino a raggiungere qualche migliaio di ff/l durante una bonifica di materiali friabili. Nelle fabbriche in cui si producevano i materiali contenenti amianto mentre erano in esercizio si potevano raggiungere concentrazioni di decine di migliaia di ff/l.

La normativa italiana detta un limite di esposizione professionale pari a 100 ff/l medie su 8h per tutte le tipologie di fibre di amianto. Si tratta di un limite tecnico applicabile alle sole attività di bonifiche, manutenzioni e ai rarissimi casi in cui ci si espone ad amianto naturale.

  • Secondo quanto elaborato dall’Istituto superiore di sanità (Iss), in Italia, tra il 2010 e il 2016, sono stati 4.410 decessi all’anno attribuibili all’esposizione da amianto. Pensa che ci sia disinformazione in merito?

Si legge che “anche una sola fibra di amianto può ammalare”: in senso statistico questa è un’affermazione esatta perché per l’amianto, come per altri cancerogeni, non esiste una soglia di esposizione che può essere definita “sicura”.

Non credo che ci sia disinformazione ma piuttosto che sia difficile rilevare la presenza di amianto, soprattutto per i non addetti ai lavori. Pertanto, il mio consiglio è di effettuare controlli di sicurezza sia quando si acquista immobili costruiti prima del 1992, sia su proprietà e/o manufatti di cui non si conosce la storia. 

amianto gruppo porcarelli

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