classificazione rifiuti

La classificazione dei rifiuti

Per affrontare la classificazione dei rifiuti bisogna partire dalla definizione di rifiuto. Dall’Unione Europea il rifiuto viene definito come “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi”. La stessa definizione viene recepita dalla normativa italiana con il decreto legislativo del 3 aprile 2006 n. 152 e s.m.ii, il cosiddetto Testo unico ambientale.

La corretta classificazione dei rifiuti è di fondamentale importanza in quanto costituisce premessa necessaria alla loro corretta gestione. La classificazione dei rifiuti prevede la distinzione degli stessi:

  1. Secondo l’origine, quindi parliamo di rifiuti urbani e rifiuti speciali;
  2. Secondo le loro caratteristiche, in rifiuti pericolosi e non pericolosi.

La classificazione dei rifiuti viene poi completata attribuendo al rifiuto il codice più idoneo del Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER), recentemente denominato Elenco Europeo dei Rifiuti (EER), in base alle attività e ai processi che hanno generato il rifiuto ed alle caratteristiche chimico-fisiche che lo compongono.

La natura dei materiali e le lavorazioni che hanno subito prima che il produttore decida di disfarsene, consentono di classificare in maniera appropriata il rifiuto ed a definire il processo a cui questi ultimi sono destinati, sia esso recupero di materia, recupero di energia o conferimento in discarica.

Rifiuti urbani

Dei rifiuti urbani fanno parte i rifiuti:

  • Domestici;
  • Vegetali provenienti dalle abitazioni e dalle aree pubbliche;
  • Provenienti dalle strade e dalle aree pubbliche;
  • Provenienti dalla pulizia delle strade;
  • Ingombranti derivanti da locali o luoghi adibiti ad uso civile;
  • Provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale.

Rifiuti speciali

Fanno parte dei rifiuti speciali invece i rifiuti:

  • Da attività agricole e agro-industriali;
  • Derivanti dalle attività di demolizione, costruzione;
  • Da lavorazioni artigianali;
  • Da attività di servizio;
  • Da lavorazione industriale;
  • Da attività commerciali;
  • Derivanti dall’attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti da trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi;
  • Derivanti da attività sanitarie;
  • I macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti;
  • I veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti.

Rifiuti urbani pericolosi (RUP)

I rifiuti urbani pericolosi sono costituiti da tutta quella serie di rifiuti che, pur avendo un’origine civile, contengono al loro interno un’elevata concentrazione di sostanze pericolose. Quindi, tali rifiuti devono essere gestiti diversamente dal flusso dei rifiuti urbani non pericolosi. Tra i RUP, i principali sono i medicinali scaduti e le pile.

Rifiuti speciali pericolosi

Sono pericolosi tutti quei rifiuti che contengono al loro interno un’elevata concentrazione di sostanze inquinanti e sono elencati nell’Allegato D alla Parte Quarta del D.Lgs. 152/2006. Tali CER (ad oggi EER) sono contrassegnati con un asterisco (art. 184, comma 5 del D.Lgs. 152/2006).

L’elenco, come detto prima, tiene conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e, nel caso, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi.

D.Lgs. 116/2020

Decreto Legislativo 116/2020 sulla gestione dei rifiuti

Il Decreto Legislativo 116/2020, in attuazione delle direttive 2018/851/Ue e 2018/852/Ue, dal 26 settembre 2020 ha reso concreta per l’Italia la disciplina comunitaria dell’economia circolare dettando nuove disposizioni in tema di rifiuti, di imballaggi e relativi rifiuti.

Il Decreto ha modificato sensibilmente la parte quarta del Codice ambientale (il decreto legislativo152/2006 e smi) e rappresenta una vera e propria rivoluzione per il settore della gestione dei rifiuti, che diventano così una risorsa da valorizzare. Inoltre, tale decreto ha modificato 3 colonne portanti:

  1. Responsabilità estesa dei produttori di beni e prodotti;
  2. Il produttore di rifiuti;
  3. Classificazione dei rifiuti

Responsabilità estesa dei produttori di beni e prodotti

Si è ampliata la platea di soggetti sottoposti al “regime di responsabilità estesa dei produttori di prodotti”. È soggetto a tale regime qualunque persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti. A tale scopo, presso il Ministero della Transizione Ecologica è stato istituito il “Registro nazionale dei produttori”: per il mantenimento di tali regimi e del Registro è previsto il versamento di un contributo ambientale e precisati i relativi criteri di calcolo.

Il produttore di rifiuti

Sul produttore dei rifiuti grava la responsabilità del corretto recupero/smaltimento dei rifiuti prodotti. Tale responsabilità non viene meno neanche nell’ipotesi in cui i rifiuti siano consegnati a intermediari, commercianti, trasportatori o impianti di trattamento.

L’esclusione dalla responsabilità si ha solo in caso di:

  • Conferimento al servizio pubblico, oppure
  • Ricezione, entro 3 mesi dal conferimento, della quarta copia del formulario.

Classificazione dei rifiuti

In particolare, l’integrazione “Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico/meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati”, richiesta dalla Conferenza Stato-Regioni, chiarisce che il TMB “non comporta l’addizione o sottrazione di sostanze pericolose rispetto a quelle originariamente contenute nei flussi in entrata”, per cui se “all’interno del rifiuto in ingresso all’impianto non vi siano componenti o frazioni che contengano sostanze pericolose, queste non potranno formarsi nel rifiuto” sottoposto a TMB. La fase più rilevante per la corretta procedura di classificazione dei rifiuti generati da TMB è la determinazione della composizione del rifiuto in ingresso che consente di rinvenire le necessarie informazioni, insieme a quelle sui flussi generati dal trattamento.”

stop alla plastica

Stop alla plastica: parla il D.lgs. 196/21

Lo stop alla plastica è fissato per oggi, 14 gennaio 2021. Il decreto legislativo 196/21 applica direttiva (UE) 2019/904 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2019, prende di mira tutti i prodotti realizzati in plastica monouso, i prodotti in plastica oxo-degradabile e gli attrezzi da pesca contenenti plastica.

Per “prodotto di plastica monouso“, come si legge nel documento, si intende quello

«realizzato interamente o parzialmente in plastica, a eccezione del prodotto realizzato in polimeri naturali non modificati chimicamente»

mentre le plastiche oxo-degradabili sono le

«materie plastiche contenenti additivi che attraverso l’ossidazione comportano la frammentazione della materia plastica in microframmenti o la decomposizione chimica».

Di fatto, il decreto restringe il consumo di quei materiali non in linea con la transizione energetica, quelli che causano l’inquinamento di microplastiche dei nostri mari e che ormai finiscono anche nei nostri cibi. Per ora sono salvi, invece, i prodotti in plastica lavabile e, dunque, riutilizzabili, che perdono del tutto la caratteristica di “usa e getta”.

L’obiettivo è di vedere risultati quantificabili entro il 2026 rispetto al 2022. Poi, nel 2027, la direttiva e il suo funzionamento saranno rivisti sulla base dei risultati raggiunti. In quella occasione verrà riconsiderata anche la plastica biodegradabile, attualmente inclusa nella direttiva senza differenziazione.

Quali sono i prodotti vietati?

Come si era già anticipato non siamo di fronte ad un bando totale ma ad una progressiva riduzione dell’uso per ragioni ambientali. I prodotti che dal 14 gennaio sono vietati sono quelli per i quali esiste già un’alternativa sul mercato, quali:

  • palloncini e bastoni per palloncini;
  • contenitori per bevande con capacità fino a tre litri, compresi tappi e coperchi;
  • tazze e contenitori per bevande in polistirolo espanso;
  • bottiglie per bevande con capacità fino a tre litri;
  • posate (forchette, coltelli, cucchiai, bacchette); 
  • piatti, cannucce e borse di plastica.

Il divieto, invece, non riguarda i prodotti biodegradabili e compostabili, composti da materia prima rinnovabile uguale o superiore al 40%. La percentuale salirà al 60% a partire dal primo gennaio 2024.

Il credito d’imposta

Per incentivare i prodotti alternativi ai Sup (Single Use Plastics), alle imprese che utilizzano piatti e tazze riutilizzabili realizzabile in materiale biodegradabile o compostabile, viene riconosciuto un credito d’imposta di tre milioni di euro l’anno, dal 2022 al 2024.